MONASTERO DELLE MONACHE

Serve di S. Maria di Arco

Via Mantova 11 - 38062 ARCO (TN) 

email: info@monasteroarco.eu

Icona significa immagine (dal greco εἰκών) e tuttavia, nell’antica tradizione spirituale dell’Oriente cristiano, essa non è semplicemente questo, bensì luogo della Presenza Divina, una “finestra sul Mistero”.

L'icona è l'arte dei primi secoli del cristianesimo, l'arte della Chiesa indivisa, quindi un'arte ecumenica. I luoghi dell'icona sono la chiesa e l'angolo d'onore (krasnyj ugol, l'angolo bello) nella casa.

I pittori di icone (iconografi) erano monaci, che univano allo studio della pittura la penitenza e l'ascesi spirituale; pertanto, la loro ricerca artistica non aveva come scopo il raggiungimento di un personale concetto di bellezza, ma piuttosto tentava di cogliere ed esprimere la Verità, che discende nell'icona stessa e si riveste delle sue forme. Proprio per questa ragione, la pittura delle icone obbedisce da sempre a regole precise, le quali non sono frutto dell’inventiva dei singoli artisti, ma venivano tramandate nei secoli dai Padri della Chiesa, considerati i legittimi custodi della Verità.

Questo modo di concepire l’arte iconografica come via di ricerca teologica e spirituale, si imprime nella tecnica stessa di realizzazione dell’icona, per cui le varie fasi ed accorgimenti non hanno una mera funzione pratica, ma anche una pregnante valenza simbolica.

La tecnica dell’icona

Il supporto classico dell'icona è costituito da una tavola di legno stagionato, di dimensioni variabili ma con proporzioni ben precise, in cui viene dapprima scavata e levigata a mano la parte centrale, l'“arca”, destinata ad ospitare la pittura. I bordi in rilievo ne costituiscono la cornice, che viene considerata a sua volta parte integrante dell’icona. La tavola così preparata viene poi ricoperta da numerosi strati sovrapposti di una sospensione di gesso, che vengono di volta in volta finemente levigati a mano, fino ad ottenere una superficie perfettamente liscia e bianca (levkàs): essa servirà da base per la pittura, ma il paziente lavoro di preparazione allude simbolicamente alla lunga ascesi necessaria al monaco per rendere se stesso capace di accogliere l’illuminazione dall’alto. Anche il disegno, delicatamente inciso con un punteruolo, risponde a rigorosi canoni simbolici: pur nella varietà delle rappresentazioni, è sempre possibile, infatti, riconoscere in esso una struttura essenziale, costituita da figure geometriche ricombinate fra loro. Il disegno viene finalmente riempito con il colore, procedendo per strati successivi dal più scuro al più chiaro, secondo la tecnica detta appunto della "illuminazione". Essa è fondamentale soprattutto nell'esecuzione dei volti, e risponde ad un preciso intento teologico: infatti, l'apparizione dei lineamenti ed in particolare degli occhi, segue una progressione che riproduce il cammino dell'uomo verso la "nuova creatura", la creatura nella luce di Dio (trasfigurazione). Anche la scelta dei colori (costituiti da terre, miscelate con tempera all'uovo) segue un ordine simbolico, legato alla rappresentazione dell'umanità e della divinità, delle tenebre e della luce: in esso, ogni singolo colore ha una sua valenza di significato.

A lavoro ultimato, un’attesa di almeno quaranta giorni (si pensi ancora una volta al valore simbolico di questo numero) è necessaria per consentire la perfetta essiccazione dei colori, prima di procedere alla finitura con diverse mani di olìfa, un composto a base di olio di lino cotto, accuratamente filtrato e preparato. Essa ha la funzione di esaltare la brillantezza dei colori e di conservare l'opera più a lungo nel tempo.

Le icone

Nozze di Cana


L’icona rappresenta il miracolo di Gesù alle nozze di Cana.


E’ il primo ”segno”  che Gesù compie, sollecitato dalla Madre, e che suscita la fede nei discepoli.

Nella parte superiore dell’icona, sono rappresentati i personaggi principali dell’episodio evangelico: gli sposi e il maestro di tavola che sa riconoscere la qualità superiore del vino donato da Gesù. 


L’icona, però, pone in primo piano al centro, Gesù e Maria. 

Il loro atteggiamento ricalca quello tipico del “Cristo Sposo”  che si trova nelle antiche icone bizantine, ove è raffigurato Gesù a mezzo busto, morto, con gli occhi chiusi, eretto sulla tomba e, accanto la Madre che lo abbraccia teneramente. E’, infatti, proprio il momento della morte di Cristo, l’ORA in cui si realizza pienamente il mistero nuziale tra il nuovo Uomo e la nuova Donna, tra Dio e l’umanità: l’ora che segna la nascita della Chiesa. 

L’icona, pertanto, vuole evidenziare la centralità di Cristo nella storia della Salvezza e il ruolo della Vergine Maria.

Il gesto delle braccia allargate di Gesù richiama quello della Croce, e il fiume rosso sangue che trabocca dall’otre all’altezza del suo cuore evoca il versamento del sangue uscito dal suo costato dopo la sua morte.

Dietro di Lui si vede la Madre che ricalca il gesto del Figlio: espressione della perfetta adesione al destino di Lui e della perenne sua intercessione per l’umanità.

I servi fedeli adempiono il compito di riempire le giare dell’acqua, la materia primordiale della vita, e di raccogliere con devota attenzione il getto ridondante del Dono di Dio che riempirà di gioia tutti i commensali al banchetto delle nozze divine nel tempo e oltre il tempo.

Anno della pandemia 2020

Le quattro scene ai lati della croce, rappresentano l’intero percorso della vita umana di Gesù, che corrisponde a quello di ogni essere umano che viene al mondo.

1. In basso, è la scena del Natale di Cristo, ove ritroviamo i simboli tradizionali: la grotta; la stella; Maria, distesa su un giaciglio rosso (simbolo di vita e di regalità); il Bimbo nella mangiatoia; il bue e l’asino; Giuseppe pensoso in disparte.

2. alla destra del Crocifisso è la scena dell’Annunciazione. Siamo nella pienezza dei tempi: l’umanità in Maria è pronta a ricevere e a rispondere alla Parola di Dio che in lei si fa carne.

3. all’altro lato, è rappresentata, in parallelo alla vocazione di Maria, la chiamata dei discepoli. E’ il momento dell’incontro con Colui che è il senso della loro vita, che li renderà a loro volta “pescatori di uomini”, salvatori dell’umanità sempre minacciata di perdersi nel disordine e fluidità dei falsi valori.

4. alla sommità della croce è raffigurata la Risurrezione di Cristo e dell’umanità con Lui. Al centro dell’ovale (scuro all’interno come il mistero di Dio, che va schiarendosi verso il bordo esterno) si vede la figura di Cristo che afferra per mano i progenitori dell’umanità, Adamo ed Eva, per estrarli dalle tenebre del sepolcro.

Al centro contempliamo il Crocifisso. Le mani, i piedi e il costato mostrano in maniera stilizzata ma evidente i segni delle trafitture da cui scaturisce il sangue che è vita per noi, con l’acqua del costato da cui rinasce nuova tutta la creazione. Non si vedono altre ferite nel corpo che appare composto e armonioso, come se la passione e la morte non l’avessero intaccato e deformato. Solo il volto e gli occhi tradiscono l’intima sofferenza del Salvatore. Gli occhi sono aperti, come se non fosse morto: guardano dritto verso lo spettatore, come a chiedere consolazione e aiuto. E’ un appello a riconoscervi lo sguardo di ogni creatura sofferente che incontriamo nella nostra esistenza terrena.

La posizione arcuata del corpo è l’altro elemento che indica lo stato di sofferenza e di abbandono.

Le braccia invece, ampiamente distese, richiamano l’atteggiamento solenne della preghiera sacerdotale: “Cristo - dice l’Apostolo Paolo - è sempre pronto a intercedere per noi presso il Padre”.

Maria Magdalene

L’icona rappresenta Maria di Magdala che corre a portare ai discepoli l’annuncio consegnatole da Gesù risorto: “va' dai miei fratelli e di' loro: "Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro" (Gv 20, 17). E’ il Maestro che la manda ad evangelizzare per prima gli apostoli (Lc 24, 10) che “erano in lutto e in pianto” (Mc 16, 10).

Le vesti e i capelli appaiono smossi dalla corsa, ma anche e soprattutto dal vento, simbolo dello Spirito “che soffia dove vuole”, libero e sovversivo di ogni categoria umana.  E’ Lui che spalanca finalmente e pienamente il senso delle Scritture, srotolando dalla mano della donna il rotolo della Legge, che, nel Cristo risorto, rivela il compimento di tutte le promesse di Dio.

Cristo è risorto!  è scritto in ebraico, in greco e in latino per dire che l’annuncio è universale, è per tutti i popoli di ogni lingua e razza sulla terra.

Maria di Magdala: apostola degli apostoli, apostola delle genti, apostola della nuova famiglia di Dio dove non c’è più né uomo né donna ma una sola creatura nuova in Cristo  (Gal 3, 28).

Lo sfondo d’oro e i colori si richiamano alla tradizione iconografica antica, per cui il rosso del manto simboleggia l’ardore apostolico di Maria di Magdala. Infatti la Chiesa usa questo colore per i paramenti sacri nella celebrazione delle feste dei santi apostoli.

L’abito, invece, richiama i colori della terra che a Pasqua riprende a verdeggiare e a produrre fiori e frutti.

L’albero costituisce il tradizionale simbolo della croce da cui raccogliere i frutti della vita: nell’icona si possono contare sette frutti, in riferimento ai doni dello Spirito Santo.

Anche l’acqua che scorre, come accompagnando la corsa della donna, richiama il fluire della vita nuova nello Spirito che rinnova e tutto feconda.

Icone 2019

Donna sei libera

Gesù e la Samaritana

Angelo custode

Angelo dai capelli d’oro

Arcangelo Gabriele

San Michele e il drago

San Giuseppe

Conversione di San Paolo

Sacra Famiglia

SS. Anna e Gioacchino

S. Giorgio cavaliere di luce

Cantico 1

Cantico 2

Cantico 3

Cantico 4

Cantico 5

Mistero sponsale

Cristo Folgore

Cena di Emmaus

Gesù Buon Pastore

Gesù salva Pietro

Gloria di Cristo

Volto di Cristo

Samaritana

Emorroissa

La donna curva

Casa di Betania

L’adultera

La peccatrice perdonata

L’unzione di Betania

Pasqua

Ascensione-Pentecoste

Il Padre misericordioso

Trasfigurazione

Visitazione

Natività di Cristo

Nozze di Cana

Madre della tenerezza 1

Madre della tenerezza 2

Madre della tenerezza 3

Madre della tenerezza 4

Madre della tenerezza 5

La pesca miracolosa

Gesù guarisce l’indemoniato

Angelo custode

Figure celesti presenti nell'universo religioso e culturale della Bibbia - così come di molte religioni antiche - e quasi sempre rappresentati come esseri alati (in quanto forza mediatrice tra Dio e la Terra), gli angeli trovano l'origine del proprio nome nel vocabolo greco anghelos =messaggero. Non a caso, nel linguaggio biblico, il termine indica una persona inviata per svolgere un incarico, una missione. L’Angelo custode esprime la vicinanza personale di Dio ad ogni essere umano, affinché nessuno si senta escluso dal suo amore di Padre.

I colori dell’icona sono quelli classici per significare la vicinanza all’umanità (rosso) e la trascendenza di Dio (colore freddo blu o verde).

La lunga asta sottile con la punta a forma di croce e in posizione verticale, esprime il congiungimento della terra con il cielo.

La creatura in fasce racchiusa nella sfera che l’angelo tiene nella mano, rappresenta l’essere umano che, grazie all’aiuto divino, è chiamato a “crescere fino alla perfetta statura di Cristo” pieno compimento dell’Umanità.

Angelo dai capelli d’oro

Arcangelo Gabriele

San Michele e il drago

San Giuseppe

Conversione di San Paolo

L’icona pone in primo piano la figura dell’apostolo che cerca di difendere gli occhi dalla luce abbagliante che lo ha colpito e scaraventato a terra, reso inerme e incapace di usare più la sua spada. I sandali gli cadono dai piedi, a indicare la violenza che sta subendo, ma anche (cfr Mosè dinanzi al roveto ardente) il senso del sacro che si manifesta sulla terra che stava calpestando. Si tratta inoltre di un dettaglio che vuole alludere alla nuova condizione del nostro protagonista, scelto per essere inviato come apostolo del Signore (v. nel Vangelo le istruzioni di Gesù ai discepoli inviati in missione). La figura scura di Paolo risalta nel rosso dell’ampio mantello, come immerso in un lago di sangue, simbolo e preludio del martirio che lo assimilerà completamente a Cristo. La conversione è un cambiamento di rotta: Paolo viene sorpreso nel punto di incrocio di due strade opposte, disegnate sullo sfondo dell’icona, di colore diverso, che evocano un movimento di discesa e di ascesa nello stesso tempo, come si sperimenta in ogni conversione autentica: a Dio e all’Uomo.

L’albero, al centro, rappresenta la Croce che riassume e ricompone tutte le contraddizioni della vita umana, per renderla feconda di frutti grazie al sangue sparso su di essa da Gesù Cristo. La via integralista (colore bianco freddo) di Saulo si interrompe ai piedi dell’albero, attraverso il quale egli contempla una strada nuova che riflette la luce calda del sole e della passione. In cima ad essa, dall’emisfero simbolo classico del Divino, appare la mano ferita di Gesù che invita Paolo a seguirlo. Alla spada riversa di Paolo si contrappongono i tre raggi che, come altrettante spade, lo raggiungono agli occhi, al cuore e alla mano.

Sacra Famiglia

L’icona si ispira all’antica tradizione greco-ortodossa, famosa per la sua ricchezza di significati teologici e spirituali.

La famiglia terrena di Gesù è qui rappresentata con particolare solennità, a significare l’altissima dignità di ogni famiglia umana chiamata a riflettere il mistero di amore di Dio Padre Figlio e Spirito Santo.

La Vergine Maria e s. Giuseppe formano, insieme, il trono che porta il Bimbo divino. L’abito del piccolo Gesù indica nei suoi colori la sua identità di vero Dio (il bianco e oro, colori della luce) e di vero uomo (il rosso, colore del sangue e della vita, come il manto in cui è avvolta sua madre espressione dell’intera umanità.)

Il colore bruno del manto di Giuseppe richiama invece la terra, umile e oscura, ma supporto necessario all’umanità e luogo d’incontro fra il dono gratuito di Dio e la laboriosità umana che, insieme, producono frutto, il pane che alimenta la vita.

SS. Anna e Gioacchino

San Giorgio cavaliere di luce

Martire dei primi secoli del cristianesimo (ca III sec.), è passato alla storia e al culto dei fedeli come l’immagine del cavaliere coraggioso che vince il mostro che devasta la vita della gente. Per questo ha ispirato moltissime rappresentazioni iconografiche sia in oriente che in occidente.

Questa icona si ispira pienamente ad uno dei modelli più seguiti dagli iconografi bizantini.

Lo sfondo totalmente dorato rappresenta l’indicazione classica della presenza di Dio che invade tutta la realtà, anche quella più oscura e terrificante rappresentata dalla caverna nera ai piedi della montagna e dalle acque scure ove serpeggia il drago.

Sovrasta la composizione la coppia cavallo-cavaliere. Risalta poi soprattutto Il cavallo rafforzato dal suo colore totalmente bianco, simbolo di forza e di incontaminazione. Esprime così la vittoria sicura della luce sulle forze oscure del male.

Infine, sulla destra in alto il semicerchio color azzurro), segno comunemente utilizzato nell’iconografia per indicare la presenza attuale di Dio nella storia degli uomini. La mano benedicente che esce esprime l’intervento divino che sostiene l’azione dell’uomo nella lotta impari con il male, per condurlo alla vittoria.

Cantico dei Cantici

Cantico 1

L’icona trae ispirazione dal libro sacro, il Cantico dei Cantici, che celebra la bellezza dell’amore umano metafora dell’amore sublime tra Dio e la sua creatura.

E’ rappresentato il momento dell’incontro tra i due amanti, tra “il diletto che viene saltando giù per i monti come un cerbiatto” e la sposa che l’attendeva nel suo hortus conclusus (giardino chiuso), simbolo della sua verginità.

Lo scenario, quasi stilizzato, mette in risalto i due protagonisti, espressioni di una realtà più grande: il rapporto tra Cristo e l’umanità redenta.

Il giovane “vestito di rosso” come il Profeta aveva intravisto il Messia Redentore, rappresenta il Verbo Incarnato, l’Amato inviato dal Cielo, per congiungere a Sé per sempre l’umanità dispersa. L’incontro avviene nello spazio stesso dell’umanità (la carne), spazio limitato eppure capace di accogliere la pienezza di Dio. A questo spazio allude il rettangolo verde sotto i piedi dei personaggi: in esso la donna poggia entrambi i piedi, mentre l’Amato manifesta la sua duplice natura occupando contemporaneamente lo spazio interno e quello esterno.

Il manto e i capelli della Sposa appaiono sollevati dal vento in direzione del Diletto: è Lui che, come una calamita, l’attira a sé nel suo movimento di danza eterna.

A differenza dello Sposo, la Donna veste colori sfumati, come un sogno che sta per avverarsi. Dietro di lei c’è una casa, simbolo della dimora stabile dell’amore coniugale. L’albero di melograno è il simbolo della fecondità e richiama l’albero della Croce il cui frutto è vita e gioia.

“L’inverno è passato - dice lo Sposo nel Cantico - i fiori sono apparsi nei campi... vieni mia bella!”.

Sul bordo inferiore del prato verde sono riportate le parole della Sposa (Cantico dei Cantici 4, 16):

Surge, aquilo, perfla hortum meum.

Veniat dilectus meus in hortum suum

et comedat fructum pomorum suorum

(trad. italiana: Levati aquilone, soffia nel mio giardino

Venga il mio diletto nel suo giardino

e mangi i suoi frutti.

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Cantico 2

L’icona rappresenta il Cantico dei Cantici, celebrazione sacra dell’amore umano, espressione più alta dell’amore di Dio per l’umanità. L’icona, pur nella sua semplicità, richiama una simbologia ricchissima di temi umani e teologici.
E’ una scena di risveglio, di stupore, di incontro amoroso, come da sempre miti e fiabe amano raccontare la nascita della conoscenza e dell’amore.
Personaggi e contesto rimandano facilmente lo spettatore intriso di conoscenze bibliche, ai racconti della creazione dell’uomo e di altri eventi significativi della storia della Salvezza.
Il gesto del giovane che solleva da terra l’amata, riprende il movimento creatore del Dio della Genesi secondo un modulo tipico della rappresentazione sacra (vedi, per es., la Creazione dell’uomo in Michelangelo), ma in una situazione completamente nuova: al posto di Adamo è ora la donna la creatura che riceve l’alito divino che la trasforma in essere vivente (Gn 2, 7). L’albero che protende i suoi rami sulla donna, vuole richiamare in particolare il versetto seguente tratto dal cantico dei Cantici: “Sub arbore malo suscitavi te; ibi corrupta est mater tua, ibi violata est genitrix tua” (trad. italiana: “sotto un albero di melo ti ho svegliata, nel luogo stesso dove tua madre ti concepì, dove tua madre perse la sua verginità”. Esso congiunge insieme il simbolo dell’albero che era in mezzo al giardino dell’Eden e quello dell’albero della Croce: testimoni entrambi di una lacerazione da cui comunque è sgorgata come dono dell’amore fedele di Dio una vita nuova e libera.
I colori del giovane sono quelli che, secondo la tradizione iconografica, caratterizzano la figura di Gesù: il rosso, simbolo della natura umana, e il blu che evoca il mistero profondo della divinità. La donna invece, vestita completamente di rosso, esprime la passionalità dell’amore e la vita che scorre nelle vene dell’umanità.

Cantico 3

La tecnica tradizionale dell’icona, basata fondamentalmente sul colore e sull’oro con i rispettivi significati simbolici, qui si mescola con motivi pittorici ed espressivi sia dell’arte medievale europea che della cultura indiana.

L’atteggiamento dei due amanti ricalca quello di una preziosa miniatura contenuta nel Codex Manesse, il più ricco e famoso canzoniere medievale in lingua tedesca, conservato nella biblioteca universitaria di Heidelberg.

Le archittetture di sfondo di Cantico 2, richiamano quelle delle miniature che si ispirano alla tradizione religiosa hindù, con la raffigurazione di testi letterari e poetici, tra i quali spiccano i racconti mitici, in particolare gli amori di Krsna con Rādhā e con le pastorelle (gopï).

Cantico 4

La tecnica tradizionale dell’icona, basata fondamentalmente sul colore e sull’oro con i rispettivi significati simbolici, qui si mescola con motivi pittorici ed espressivi sia dell’arte medievale europea che della cultura indiana.

L’atteggiamento dei due amanti ricalca quello di una preziosa miniatura contenuta nel Codex Manesse, il più ricco e famoso canzoniere medievale in lingua tedesca, conservato nella biblioteca universitaria di Heidelberg.

Le archittetture di sfondo di Cantico 2, richiamano quelle delle miniature che si ispirano alla tradizione religiosa hindù, con la raffigurazione di testi letterari e poetici, tra i quali spiccano i racconti mitici, in particolare gli amori di Krsna con Rādhā e con le pastorelle (gopï).

Cantico 5

In alto a destra sull’icona è riportato l’inizio di un versetto del Cantico dei Cantici, che può offrire una chiave di interpretazione. Esso recita così: “Vinea mea coram me est …” (trad. poetica italiana: “La mia vigna, la mia, è in mio possesso; (tieniti tu la tua, o re, con i duecento guardiani e i loro mille sicli)”. I versetti appartengono alla scena ottava del Libro Sacro, il Cantico dei Cantici, nella quale la sposa irride la famosissima vigna del leggendario re Salomone affittata a ben duecento guardiani che gli versano ciascuno mille sicli per l’affitto. Quello che lei possiede vale molto di più ed il suo frutto è più inebriante di qualsiasi vino (cfr Ct 2, 4ss). Con questa immagine addirittura ha inizio il duetto del Cantico: “Baciami con i baci della tua bocca, ché il tuo amore mi morde più del vino.”

Nel Vangelo Cristo stesso si paragona alla vite: “Io sono la vera vite: chi rimane in me porta molto frutto…”. E’ Lui che per amore dell’umanità si lascia spremere sulla croce come un grappolo d’uva, per dissetare la nostra sete di amore e di vita.

L’icona, ispirandosi chiaramente al Compianto sul Cristo morto di Botticelli, invita lo spettatore a riconoscere in questa scena particolare l’immagine più alta dell’amore umano e divino.

Mistero sponsale

L’icona riprende lo schema tradizionale della rappresentazione dell’incontro tra i santi Gioacchino e Anna alla cosiddetta Porta Bella. Dopo lunghi anni di sterilità il loro amore e la loro fede ottengono da Dio il dono di una figlia speciale, Maria, che diventerà la Madre di Gesù.

Per questo possono essere considerati l’emblema della fedeltà coniugale, che nessuna difficoltà può abbattere.

L’incontro è rappresentato all’interno di una grotta scavata in una montagna rocciosa da cui germogliano fiori e piante verdi.

La grotta, come simbolo, esprime:

- la segretezza e l’intimità dell’incontro amoroso;

- la profondità di un mistero che scaturisce dal cuore della natura fin dalla sua primordiale

‍ espressione di pura materia.

- l’origine della vita terrena (grembo materno) e il ritorno alla terra (sepoltura).

Il colore rosso che prevale esprime il trasporto dei due coniugi, come pure il loro movimento che sembra mimare quasi un passo di danza.

Entrambi sono contornati dal verde di due piante appena accennate, simbolo di una vita che si rinnova.

Nella parte superiore dell’icona, l’emisfero blu scuro (colore della trascendenza), rappresenta il mondo divino da cui emana un raggio, del medesimo colore, diretto sui due sposi. L’abbraccio di questi ultimi esprime così il punto d’incontro della realtà umana e della realtà divina che si realizza nell’Amore.

Cristo

Cristo Folgore


Come la folgore, guizzando,


brilla da un capo all'altro del cielo,


così sarà il Figlio dell'uomo


nel suo giorno.


                                                      Lc 17, 24


‍ L’icona attinge alla tradizione iconografica sia del cristianesimo orientale che occidentale.

La persona di Cristo è circondata dall’aureola a forma di mandorla, simbolo classico della gloria di Dio, del “mistero nascosto nei secoli e ora svelato in Lui”. Tale forma che richiama quella del seme che racchiude l’energia vitale da cui ha origine ogni processo di vita, è inscritta in una struttura rettangolare che rappresenta simbolicamente il mondo visibile da noi conosciuto nelle sue quattro dimensioni fondamentali dello spazio e del tempo.

Nel Verbo fattosi carne, in Gesù Cristo, noi possiamo contemplare il mistero ineffabile dell’Infinito nel finito, dell’Eterno nel tempo.

I colori della veste sono quelli classici, rosso e blu, che significano le due nature umana e divina di Cristo Signore.

Anche le tonalità della mandorla riprendono questi due colori fondamentali della tradizione. Il mistero imperscrutabile della divinità è rappresentato al centro dal colore blu notte, che si schiarisce man mano verso l’esterno per diventare accessibile alla nostra umanità.

Cristo è seduto sull’arcobaleno, secondo le visioni profetiche che si leggono nella Bibbia. E’ il Principe della Pace, Colui che riconcilia il cielo e la terra, e fa dei due una cosa sola.

La mano destra benedicente sconfina verso l’ovale esterno della mandorla, come uno dei piedi che si sporge ancora oltre. Anche questo particolare vuole alludere alla signoria suprema di Cristo e alla pienezza di vita che eccede oltre ogni misura.

Cristo regge, sul ginocchio sinistro, il libro del Vangelo aperto sulle parole “Io sono la luce del mondo”.

I raggi che partono dalla mandorla ai quattro angoli dell’icona, rappresentano i 12 apostoli cioè la Chiesa chiamata e inviata a irradiare nel mondo la gloria di Cristo.

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Cena di Emmaus

Gesù Buon Pastore

Gesù salva Pietro

Gloria di Cristo

Volto di Cristo

Nella raffigurazione del Cristo Pantocrator (= Signore di tutte le cose) è sempre presente l'antinomia fra giustizia e misericordia divina, così come fra la natura divina e umana.

È vero però che in ogni epoca e in ogni personalità artistica questa antinomia viene risolta in modo originale, diverso, ricreando così di volta in volta il volto di Cristo irripetibile e sempre fedele a se stesso che ogni uomo contempla nel profondo del proprio cuore.

Il Cristo maestoso ha il suo prototipo nel Pantocrator della cupola di Daphni, dell'XI secolo, che si affaccia dall'alto con volto severo e minaccioso, come il Signore dell'universo preposto a giudicare i vivi e i morti. In Russia le icone che esprimono questa concezione ricevono la caratteristica denominazione di Salvatore dall'occhio ardente.

il Cristo è qui raffigurato in modo estremamente essenziale, solo fino alle spalle, mentre tutta l'espressività del tipico canonico è affidata allo sguardo, finestra aperta sul mistero della divino-umanità.

Il rilievo dato allo sguardo nell'icona non è mai casuale, ci riporta all'essenzialità del colloquio umano e cosmico con Cristo in cui è contenuto il significato del mondo e della storia.

Le iscrizioni in rosso sono abbreviazioni greche per indicare Gesù Cristo (IC XC).

Donne del Vangelo

Samaritana

I colori caldi degli sfondi evocano l’ora assolata in cui avviene l’incontro.

I discepoli sono andati in città (si intravedono le case dietro il monte alle spalle della donna) a cercare cibo. Gesù dunque e la samaritana si trovano soli, l’uno di fronte all’altra, in una natura rocciosa e riarsa che tuttavia già mostra, nei piccoli fiori che spuntano qua e là tra le fessure delle rocce, l’arrivo di una nuova stagione, il tempo della Grazia nella presenza di Gesù.

Al centro della scena campeggia in grande evidenza il pozzo che nella tradizione biblica coincide con il luogo degli incontri che preludono alle nozze (Isacco e Rebecca, Giacobbe e Rachele …). La cavità nera, che viene posta in risalto dalla semplicità del disegno, evoca la profondità dell’origine misteriosa della vita, dell’acqua segreta che l’alimenta e fa fiorire. L’albero (l’albero della vita, l’albero della Croce…), l’immancabile simbolo delle icone, sorge proprio dietro il pozzo, dove sono nascoste le sue radici.

I due monti, alle spalle dei due personaggi, richiamano le sterili polemiche della falsa religiosità cui accenna il brano evangelico. La vera adorazione di Dio non è legata ad alcun luogo, per quanto eccelso possa essere (cfr Gv 4, 21: né su questo monte né sull’altro…), ma è solo in spirito e verità.

Poiché nell’incontro di Gesù con la samaritana l’evangelista Giovanni racconta la prima grande rivelazione di Gesù, l’icona raffigura il Cristo nell’atteggiamento solenne del Signore che ammaestra. E’ in posizione più alta, seduto, ha in mano il rotolo della Legge di cui egli è autore interprete e compimento.

L’icona gioca con i vari motivi e allusioni che derivano dalla lettura meditata della s. Scrittura.

La novità del messaggio emerge dal fatto che Gesù inizia il suo magistero in un luogo equivoco - fuori del tempio e fuori del santo territorio di Gerusalemme - associato per tradizione a vicende di carattere intimo e personale, come sopra accennato.

Si rivolge poi ad un uditorio privo di qualsiasi requisito: fatto di un solo componente, di costumi discutibili (ha cambiato partner per ben cinque volte), di idee poco ortodosse (samaritani) e di sesso femminile. Per la mentalità del tempo, la donna non era abilitata a divenire discepola di alcun maestro o rabbi.

Nell’icona la samaritana è seduta, perché Gesù mostra di considerarla a pieno titolo discepola della sua nuova dottrina. Per di più è ritratta in un atteggiamento alquanto disinvolto, come di chi si sente a suo agio, completamente rivolta al suo interlocutore, dimentica dello scopo per cui era venuta al pozzo.

La posizione singolare del piede che fuoriesce dall’altra gamba, è tipica di molte icone ortodosse del Bambino in braccio alla Vergine Madre. Così l’incontro della Samaritana con Gesù si colora di un significato di tenerezza e di intimità che va oltre il rapporto di per sé già eccezionale e privilegiato di discepolo con il maestro.

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Emorroissa

L’icona rappresenta la guarigione, raccontata dai vangeli sinottici, della donna che perdeva sangue. (v. Mc 5, 25; Mt 9, 20; Lc 8, 43)

La scena è affollata. Le montagne che fanno da sfondo, vogliono rappresentare la natura, spettatrice muta ma sempre presente e coinvolta nel destino dell’umanità. Si nota poi una casa che vorrebbe rappresentare l’abitazione dove Gesù è diretto, per soccorrere la figlia morente di Giairo. I vangeli sembrano mettono in stretta relazione le due figure femminili: la bambina morta a dodici anni, appena giunta alla pubertà, e la donna che da dodici anni vive la sua condizione come perdita di vita. Entrambe, al contatto di Gesù, vengono restituite alla vita e alla sua forza generativa.

Tra la folla che si accalca confusamente intorno a Gesù, si intravedono i discepoli: sono i più vicini al Maestro ma non capiscono la sua reazione.

Gesù è tutto rivolto verso la donna, posta nettamente in primo piano.

Ella compie un gesto proibito dalla legge: la sua malattia comporta l’umiliante condizione di impurità rituale che le vieta qualsiasi tipo di rapporto sia con gli uomini che con Dio. Solo di nascosto può muoversi e avvicinarsi a qualcuno. Il rosso scuro del suo manto e quello più vivo della veste denunciano il suo male che nessun rimedio umano è riuscito a cancellare.

La tunica altrettanto rossa (simbolo noto dell’umanità) di Gesù attira il suo sguardo e le dà il coraggio di aggrapparsi al lembo del mantello (blu) della sua divinità da cui scaturisce la forza della vita.

Nessuno si accorge di lei. Solo Gesù si volta a guardarla per indurla a venire allo scoperto e ad additarla come modello di fede.

In questa icona lo spettatore è indotto a fissare lo sguardo verso il basso, là dove guarda la donna, con gesto riverente verso i piedi di Gesù, la parte più bassa del corpo umano, quella che è più a contatto con la materia e la terra, che si sporca e si stanca, che soltanto uno schiavo o una madre o un’amante ha il coraggio di lavare curare e baciare. E’ l’ultimo gesto che Gesù stesso consegna ai discepoli prima di andare alla morte.

Nel punto più basso dell’icona è dunque raccolto l’invito a meditare contemplare e stupirsi di quanto può fiorire (lo sguardo della donna si posa su un piccolo fiore) su ogni cammino appresso al Signore che passa.

La donna curva

L’icona rappresenta l’incontro di Gesù con la donna che “non riusciva in alcun modo a stare diritta”.

Il Vangelo di Luca colloca l’episodio nella sinagoga, in un sabato, giorno sacro per gli ebrei osservanti.

L’icona, però, presenta la scena fuori del luogo di culto (v. costruzione racchiusa fra le due montagne), nello spazio libero di una natura verdeggiante ove la parola più attesa (18 anni è durata l’infermità della donna! 6 x 3, come il ciclo della creazione (6 giorni) ripetuto per tre volte, una creazione che si ripete all’infinito senza mai giungere al compimento del “settimo giorno” cui non succede più la sera) può risuonare creativa e pienamente efficace. Donna, sei veramente libera! Guardati attorno!

La scena rappresenta soltanto Gesù, in piedi nel gesto solenne del Creatore benedicente, e la donna ripiegata su se stessa. Al posto degli altri personaggi del racconto, il capo della sinagoga e gli ipocriti sostenitori della legge, sono raffigurati un pozzo e un asino: figure utilizzate con ironia da Gesù per smascherare la malafede dei suoi interlocutori e denunciare l’umiliante condizione della donna la cui vita non valeva ai loro occhi quanto quella di un animale da soma.

L’icona rappresenta l’asino che salta libero dal palo cui era legato. Il palo vuole richiamare la croce, per mezzo della quale Cristo ci ha liberati dal peccato, perché non fossimo più “schiavi sotto la Legge ma liberi sotto la grazia” (cfr Rom 6, 13 ss)

Nella parte inferiore della scena si nota un portone chiuso, che vuole significare la legge da cui Cristo libera, la legge “fatta di prescrizioni e di decreti” (cfr. Ef 2,15), strumento di discriminazione e di segregazione.

Casa di Betania

L’icona, pur ispirandosi principalmente all’episodio narrato da Luca (Lc 10, 38-42), vorrebbe ritrarre il clima di semplice familiarità che Gesù, secondo il quarto evangelista, doveva sperimentare a Betania, nella casa dove viveva l’ amico Lazzaro con le sue sorelle, Marta e Maria, alle quali Gesù voleva molto bene.

Nell’icona appaiono con Gesù soltanto le due figure femminili, per concentrare l’attenzione dello spettatore sulla presenza delle donne nella vita di Gesù, sul suo modo di rapportarsi con loro e viceversa.

Gesù, seduto e vestito secondo la tradizione classica iconografica, si presenta come il Signore in piena funzione di Maestro e di Giudice, vale a dire nella sua vera e fondamentale identità. Infatti è colui che, secondo il racconto di Luca, indica qual è la cosa più importante, la “sola necessaria” che ognuno di noi può e deve cercare nella vita. E’ tuttavia un insegnamento che passa attraverso un rapporto di amicizia profonda e di cordiale ospitale accoglienza.

L’attenzione di Gesù è attratta da entrambe le figure che a loro volta, sia pure in maniera diversa, si rapportano a lui.

Nella cultura del tempo la donna costituiva l’emblema del servizio, indipendentemente dallo stato sociale. Nell’episodio famoso di Abramo che riceve i tre ospiti misteriosi, è lui che fa gli onori di casa e comanda alla moglie Sara, che resta dietro le quinte, di impastare svelta tre misure di farina. Non a caso l’icona presenta Marta nel gesto della sua antenata, il più semplice e il più necessario fra i compiti riservati alle donne. Gesù vi costruirà sopra una delle più belle parabole per spiegare il mistero del Regno dei cieli: “è simile ad un po’ di lievito che una donna mescola i tre misure di farina, finché ….”.

La stessa chiesa nelle liturgia ha messo in relazione i due testi biblici di Genesi 18, 1-10 e Lc 10, 38-42.

L’icona nasce da una molteplicità di suggestioni simboliche e bibliche, che,anche se contraddittorie, trovano un senso unitario.

Marta lavora al pane necessario alla vita.

Maria è tranquillamente seduta accanto ad un vaso prezioso vuoto, come il suo cuore liberato da ogni pregiudizio, pronto ad essere riempito dello Spirito nuovo di Colui che “solo ha parole di vita eterna”.

Gesù è l’elemento unificante, che “rivela ai piccoli” (ai non abilitati, come anche le donne del suo tempo, a ricevere l’insegnamento della Thora) il mistero della Vita che è simile al seme più piccolo ma diventa l’albero grande che sovrasta il muro della casa, o al lievito che la sua ospite solerte sta impastando…

L’adultera

L’icona presenta i personaggi della scena in maniera da fare risaltare chiaramente i caratteri di ciascuno

Da un lato la donna vergognosa e impaurita. La sua figura si staglia alta e sola sullo sfondo della montagna, per esprimere il suo sentirsi creatura irriducibilmente sola ed esposta al ludibrio dell’intera creazione. Il suo sguardo, tuttavia, è rivolto verso Gesù.

Sul lato destro, sotto una specie di portico che intende richiamare il luogo sacro del tempio, è rappresentato il gruppo degli accusatori: sono uomini, in abiti ufficiali, che consultano da esperti il libro della legge. Sono in piedi, in posizione più alta anche rispetto a Gesù che interpellano in qualità di maestro. Ai loro piedi si osserva il mucchio di pietre già preparate per la lapidazione.

In primo piano, di fronte alla donna, è raffigurato Gesù, vestito come di consueto con i colori che esprimono la sua natura umano-divina, nell’atto di scrivere con il dito sulla terra.

Il gesto, come rappresentato nell’icona, può apparire scandaloso: somiglia infatti ad un inchino che Cristo fa rivolto alla donna adultera, come a riconoscerne la dignità che tutti, inclusa forse lei stessa, hanno calpestato.

Gesù e la donna si guardano, riassumendo l’intera storia di amore e di tradimento tra Dio e il suo popolo raccontata dalla Bibbia..

Nella mano di Gesù si osserva il rotolo che appare spesso nell’iconografia orientale. E’ il rotolo della Legge che, in questa icona, si contrappone al grande libro che è tra le mani del fariseo. Gesù riscrive sulla terra la vera Legge di Dio che “non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva”, legge che non si trova in alcun codice se non nella terra profonda del cuore umano.

La peccatrice perdonata

L’icona si ispira ai canoni tradizionali per quanto riguarda i colori e le architetture, ma nei confronti dei personaggi usa uno stile meno stereotipato, più propenso ad esprimerne i sentimenti.

Gesù appare meno solenne che in altre icone: non ha in mano il famoso rotolo della Legge, né accenna il tipico gesto di benedizione. Sembra piuttosto colto alla sprovvista e incantato dal gesto della donna.

I commensali, solo uomini per accentuare la differenza di atteggiamento della donna, fanno un gruppo compatto di fronte a Gesù, il vero e massimo bersaglio delle loro ironiche considerazioni. La donna, per quanto rannicchiata a terra, si impone fortemente allo sguardo dello spettatore, sia per i colori accesi delle vesti che richiamano esattamente quelli di Gesù come ad esprimere la sintonia dei loro sentimenti, sia per la vistosa capigliatura con la quale asciuga i piedi del Signore. La sua presenza crea una rottura nel piacere della mensa da cui sembrano poco propensi a staccarsi i commensali con i loro bicchieri colmi di vino.

Il bianco della tavola accentua lo stacco fra i due gruppi, ponendo in risalto la coppia Cristo- peccatrice con al centro il prezioso vaso di profumo. L’ampio tappeto infine, non solo contribuisce a focalizzare la scena sui due protagonisti principali, ma per la sua forma richiama un simbolo antico: l’aureola che in molte rappresentazioni iconografiche contorna la figura gloriosa di Cristo. In questa icona il segno della gloria è proiettata sulla terra, sotto i piedi che la donna copre di baci e di lacrime, perché ha riconosciuto in essi l’amore misericordioso che tutto perdona a chi ama.

Un unico spazio di chiarità raccoglie Gesù e la peccatrice perdonata, come una dimensione nuova cui è invitato anche lo spettatore guardando la punta del rombo protesa in avanti verso di lui.

L’unzione di Betania

L’icona si ispira all’episodio evangelico in cui una donna, alla vigilia della Passione di Cristo, ruppe un vaso di profumo preziosissimo per versarlo sui piedi di Gesù e asciugarli con i suoi capelli. La scena resta nota ai più come il gesto della Maddalena per eccellenza.

L’ho rappresentata più volte, ora seguendo fedelmente i canoni dell’iconografia ortodossa come in questa icona , ora seguendo un impulso più creativo, ispirandomi alla tradizioni più popolari, come quella, testimoniata da tanta arte sacra dell’occidente cristiano, che, senza tanti scrupoli esegetici, ha fuso in una stessa persona ben tre personaggi diversi del Vangelo:

la peccatrice in casa di Simone il lebbroso (quella che entra di soppiatto al banchetto e rannicchiatasi ai piedi di Gesù gli lava i piedi con le sue lacrime e li asciuga con i suoi capelli);

Maria di Betania, alla quale Gesù voleva molto bene (come a Lazzaro e a Marta suoi fratelli), che sei giorni prima della Pasqua consuma tutto il suo preziosissimo profumo per ungere il Maestro;

Maria di Mgdala (la Maddalena), che il vangelo ricorda al seguito di Gesù con altre donne e i discepoli, sul calvario ai piedi della croce e infine nel giardino del sepolcro vuoto la prima a vedere il Signore risorto..

una confusione che, a ben pensarci, è forse il frutto di una felice intuizione del popolo credente, che ha ravvisato in queste tre diverse figure di donne un unico filo conduttore, un modo di essere, che diventa in realtà paradigmatico per chiunque, uomo o donna che sia, aneli al superamento del proprio limite per aprirsi alla vita nella sua pienezza. In un caso o nell’altro i vangeli ci hanno tramandato una figura di donna che risponde in pieno al cliché tradizionale di tanta cultura nel mondo:

- è la debolezza che si esprime nelle lacrime

- è l’istinto che agisce senza calcolo e misura

- è la presenza che si impone per nessun altro titolo se non quello che le permette di sedurre, da cui la facile associazione alle forze oscure demoniache (ben sette demoni Gesù aveva scacciato da Maria Maddalena! il numero classico della bibbia per indicare una misura colma).


A differenza della Madre di Gesù, la Vergine ss.ma che per il suo ruolo speciale ha assunto nella immaginazione di tanta parte del popolo dei credenti, i tratti quasi della divinità, la Maddalena invece è la donna dei vangeli nella sua realtà nota, rimasta tale lungo i secoli, esaltata nella sua bellezza che si riscatta nella dura penitenza. Tuttavia proprio queste caratteristiche, diventano gli indicatori preziosi di un cammino interiore di libertà e di armonia, ove la debolezza e la coscienza del proprio limite diventano apertura massima alla Vita, la bellezza e la gratuità infrangono gli angusti spazi della razionalità, la ricerca inconsolabile e tenace dell’amore è appagata finalmente nell’incontro con la sorgente stessa della vita e dell’amore.(da una riflessione personale condivisa con la persona a cui era destinata l’icona, anno 1999)

Nella nostra icona Gesù, vestito secondo i canoni tradizionali, siede su un ampio cuscino rosso come un sovrano che riceve il dovuto ossequio; e tuttavia l’atteggiamento appare mite ed accogliente: guarda verso la donna e la benedice. Nella mano ha il rotolo della Legge che sta per portare a compimento accettando di morire sulla croce per amore del Padre e dell’umanità. La donna, inginocchiata e curva ai piedi del Signore, è avvolta in un ampio manto rosso vivo come la veste di Cristo, simbolo di amore e di passione. I lunghi capelli corvini si confondono con il colore blu scuro del mantello di Gesù. Cristo e la donna si trovano posti al centro dell’icona, come isolati dal resto della scena. Ai lati sono raffigurati il gruppo dei farisei e il gruppo dei discepoli che criticano lo sperpero di profumo carissimo da parte della donna. In alto appare il drappo rosso che si vede in tantissime icone ortodosse: è il segno della protezione divina, della Presenza amorevole sugli eventi importanti della vita umana. In basso sul fondo scuro risalta il prezioso vaso che deve essere rotto per esalare tutto il suo profumo, come Gesù che sta per essere ucciso e come la donna che rompe ogni pregiudizio e falsa sicurezza.

Feste

Pasqua

L’icona rappresenta la risurrezione di Cristo, secondo uno schema tipico della tradizione iconografica dell’oriente cristiano, ma anche secondo una lettura più personale e comunque più prossima alla nostra cultura occidentale. L’icona intende offrire allo spettatore una sintesi teologica riguardante appunto il mistero della risurrezione di Gesù dai morti, il nucleo della fede e la ragione fondamentale della speranza cristiana. In una natura stilizzata, espressa attraverso rocce di montagne squassate, simbolo del creato coinvolto e associato indissolubilmente alla persona umana e al suo destino, la figura del Cristo appare gigantesca e avvolta in una grande aureola chiara che richiama la forma di un uovo.

E’ un motivo caro all’arte sacra sia nel mondo orientale che nella nostra tradizione occidentale, quello di inscrivere la figura del Signore in un grande cerchio o in una mandorla, per significarne la gloria e la trascendenza. Nella nostra icona, la forma fortemente allusiva all’uovo, sottolinea il significato di novità assoluta della Pasqua che segna il dischiudersi di una nuova vita.

La figura del Cristo tenta di riprendere fedelmente quella che domina nella chiesa di s. Sofia a Costantinopoli, carica di particolare vigore e significato teologico.

E’ un Cristo solenne, le cui vesti sontuose e ieratiche dicono la sua dignità di sommo ed eterno sacerdote.  Esse hanno il colore della luce, il bianco che non è un colore ma racchiude in sé tutti i colori. Per questo è considerato il colore dell’eternità e della totalità, al pari dell’oro che costituisce l’elemento base di tutte le icone.

Pertanto, di bianco, il colore della vita, appare vestito l’angelo che, al sepolcro vuoto, annuncia alle donne la risurrezione di Gesù (cfr Vangelo); bianche saranno pure le vesti dei risorti, dice il libro sacro dell’Apocalisse.

Ai lati del Cristo che sembra confondersi nel chiarore de dell’ovale, sono raffigurati i nostri progenitori Adamo ed Eva, l’uno vestito con i colori della terra, a ricordo della sua origine (cfr Genesi: il racconto della creazione di Adamo), l’altra avvolta nella veste rossa come il sangue che scorre nei viventi, secondo il significato del nome stesso di Eva: la madre di tutti i viventi” (Genesi 3, 20). Entrambi sono vecchi: portano i segni del tempo e del deterioramento dell’umanità decaduta. L’icona mette in risalto il contrasto fra la luminosità quasi evanescente del Cristo e la pesantezza dei due personaggi laterali, tra il dinamismo che sprigiona dal corpo libero del Salvatore e la posizione dei due che tuttavia già esprime il movimento verso l’alto suscitato dalla presa possente delle mani del Risorto.

Il gesto di Cristo che afferra con forza Adamo ed Eva per i polsi, riecheggia ampiamente testi antichi ed inni liturgici della Chiesa che contempla l’ineffabile dono della Redenzione. Nella notte della veglia pasquale, ancora oggi noi cantiamo: “Felice colpa! che ci ha guadagnato un tale Redentore!”. Cristo, disceso fin nel profondo degli inferi, cioè della più cruda e oscura esperienza umana, trasforma la notte in giorno chiaro, la tenebra in luce. Rialza da terra Adamo ed Eva, l’umanità divisa e intristita; riannoda l’unità infranta; ricongiunge gli opposti e i diversi: l’uomo e la donna ritroveranno in Lui la loro immagine vera e perfetta , in cui Dio potrà ancora specchiarsi e contemplarsi con gioia come all’origine della creazione.

Nella nostra icona una mano di Eva rimane nascosta: quella che colse il frutto proibito, ed ora poggia sul cuore come in una confessione di pentimento e di amore.

Nella parte inferiore dell’icona sono rappresentate le porte degli inferi scardinate dalla potenza della Vita che vince la morte per sempre. La risurrezione di Cristo ha svuotato l’inferno, ha mostrato l’inconsistenza del male: nella voragine nera si vedono i simboli della violenza, chiodi, lance spezzate, resti di inferriate ecc.

Tra le spaccature delle rocce, da una parte e dall’altra dell’icona, si intravedono moltitudini umane, volti e occhi protesi verso la luce dirompente del Cristo risorto, primizia dell’umanità nuova.

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Ascensione - Pentecoste

La scena richiama contemporaneamente il racconto dell’Ascensione di Gesù al cielo e quello della Pentecoste, in cui gli apostoli, dopo la triste esperienza della Passione e Morte del Signore che li aveva sconvolti e dispersi, finalmente riuniti nella fede e nella preghiera incessante di Maria, la Madre di Gesù, iniziano la loro missione nella Chiesa.

Lo Spirito Santo, primo Dono del Risorto ai credenti, simboleggiato dai raggi rosso fuoco che escono dall’emisfero collocato in alto a sinistra in direzione dell’icona centrale, inonda della sua calda luce la figura di Maria tutta protesa verso di essa, nel suo atteggiamento orante, di colei che intercede costantemente presso il Figlio, risorto e assiso alla destra del Padre.

Maria, avvolta nel suo manto rosso, il colore che richiama il fuoco dello Spirito Santo, è la primizia della Chiesa e anche l’immagine della sua pienezza: per questo la sua figura è messa in grande evidenza nell’icona, in misura sproporzionata rispetto al gruppo degli apostoli.

Questi ultimi appaiono riparati completamente da lei e dal suo ampio manto smosso dal “vento impetuoso” dello Spirito “mentre stava per compiersi il giorno di Pentecoste”.

Il Padre misericordioso

L’icona rappresenta la parabola raccontata da Gesù per dire come il Padre ama ciascuno dei suoi figli, buoni o cattivi che siano. E’ Lui il protagonista principale, il cuore della cui “commozione” batte umanamente il cuore stesso di Gesù.

La figura del Padre campeggia, perciò, enorme al centro dell’icona e domina tutta la scena. Richiama chiaramente l’immagine classica tradizionale di Dio Padre: capelli e barba lunghi e bianchi, le vesti dal colore blu della trascendenza reso brillante dall’oro (simbolo della luce indefettibile). L’atteggiamento però è ben lontano da quello solenne e perlopiù statico con cui viene rappresentato. L’icona lo presenta in movimento, in discesa e addirittura in corsa. E’ Lui che di fatto agisce e opera. Si precipita ad accogliere il figlio che torna e, nello stesso tempo, cerca di trattenere sotto il suo manto il figlio accigliato e scandalizzato dal suo comportamento.

Risalta il contrasto tra la grande figura del Padre e le due figure più piccole ai lati, che rappresentano rispettivamente il figlio prodigo e il figlio “fedele”. Entrambi, appena coperti da un cencio rosso sangue, esprimono la realtà umana con la sua esperienza di ambiguità, di desiderio e di miseria.

La casa del Padre è aperta, si intravede in alto al suo interno il banchetto preparato.

In alto a sinistra dell’icona, è rappresentata la scena del servo che uccide il vitello grasso per la festa, mentre nell’angolo inferiore a destra una donna è pronta a portare la veste nuova (bianca), i calzari e l’anello.

Ritorno del figlio prodigo

 

Ho l’anima rossa di ricordi

ultimo sangue che ancora mi resta:

poi tutto ho perso

cuore sostanze

lungo le strade.

 

Ricordo la Tua mano protesa

verso la mia casa

e mi dicesti: “Sali

a metterti la veste”.

 

Ora la Tua calma

riappare

sopra la grande città.

 

                                  (fr. D.M. Turoldo, O sensi miei)

Trasfigurazione

La prima icona era sempre la Trasfigurazione, cioè la manifestazione della presenza di Dio in tutte le cose. E’ l’icona della luce. Al centro è Cristo, a piedi nudi, sulla sommità del monte. Il suo abbigliamento è di un bianco candido soffuso d'oro (bianco e oro sono i colori della luce e indicano la divinità). Egli appare in un grande cerchio - in espansione perché progressivamente più chiaro - il cui nucleo è di colore verde-blu intensissimo (l’abisso del Mistero divino). Il pentacono compreso entro il cerchio vuole rappresentare la nube luminosa, simbolo dello Spirito Santo e origine trascendente delle energie divine. Gesù è il Sole, la fonte di luce che irraggia su tutta la scena. Il movimento circolare del nimbo di gloria è accompagnato e amplificato dai contorni esterni delle due figure di Mosè e di Elia, chini in ossequio verso Gesù, nel quale riconoscono l'oggetto delle loro imperfette visioni, l'Autore della Legge e delle Profezie e Signore dei vivi e dei morti.

La pienezza di vita (il cerchio), che si manifesta come luce irradiante dalla figura di Cristo, non rimane chiusa in se stessa, ma include nel suo movimento tutto il creato e l’uomo in particolare. Questo incontro, fonte assoluta di allegrezza per tutte le creature, avviene al vertice della montagna (il triangolo), simbolo universale dell’asse di congiunzione tra cielo e terra, punto di effusione della benevolenza divina e, inversamente, punto di convergenza di tutti gli sforzi umani di ascensione. Nella parte inferiore, in primo piano, sono raffigurati i tre discepoli in atto di inciampare scendendo dalla cima del Tabor, ancora sconvolti dalla visione folgorante. Pietro (a sinistra) è inginocchiato ed è l’unico che possa guardare in alto. Giovanni (al centro) ha il volto poggiato sulla mano, in atteggiamento pensoso, contemplativo. Giacomo (a destra), nella fuga cade a terra.

I colori caldi, attivi - dal giallo arancione al rosso porpora - in contrasto complementare con la gamma fredda dei diversi toni verdi, sono quelli della natura giunta all'apice del suo rigoglio e della sua vitalità: è il grande giorno, il giorno senza tramonto del solstizio d'estate. Sul cerchio della gloria, che è anche il cerchio del tempo, il Cristo luminoso indica la verticale dello zenit e il solstizio eterno

Visitazione

L’icona rappresenta la visita di Maria a s. Elisabetta.

L’incontro tra le due donne, prodigiosamente gravide, è ambientato in un giardino fiorito dietro il muro di una casa, oltre il quale si erge una montagna e un grande albero. Sono tutti simboli altamente biblici, che richiamano situazioni e significati particolari.

Il monte rappresenta, da una parte, la creazione coinvolta nella storia dell’umanità, e dall’altra il luogo simbolico dell’esperienza religiosa.

L’albero , sempre presente nelle nostre icone come simbolo universale di vita (albero della Vita, albero dell’Eden, albero della Croce…), esprime la fecondità delle due donne, soprattutto della Madre del Signore della Vita.

Il volto rugoso della vecchia Elisabetta tende verso quello giovane e solenne di Maria.

Sul manto rosso porpora (simbolo della vita e di regalità) della Vergine, sopra il grembo leggermente rigonfio, appare l’anagramma greco del Nome di Gesù..

Elisabetta invece è in atteggiamento di profonda riverenza: riconosce il Mistero divino di cui è portatrice Maria, e, come gli angeli delle icone , nasconde le mani in segno di adorazione., sotto un drappo dal colore rosso come il sangue della nuova vita che sta fiorendo anche nel suo corpo.

Sullo sgabello in basso a sinistra si vede un libro aperto con le seguenti parole:“Ecco, la voce del mio Diletto”.

E’ esplicito il riferimento al libro della Bibbia, il Cantico dei Cantici, che percorre l’intero episodio della Visitazione:

Il bimbo che dalla grata di una finestra punta il dito sulla scena, allude alla reazione straordinaria di Giovanni Battista che, riconoscendo il Messia portato da Maria, ha un sussulto di gioia nel grembo di Elisabetta.

Natività di Cristo

Nozze di Cana

Nozze di Cana

Madre di Dio

Madre della tenerezza

La Madre di Dio della Tenerezza è uno fra i più antichi tipi canonici sia della tradizione orientale che occidentale, entrambe presenti in questa icona.

Prevale il colore blu che, unito all’oro simbolo per eccellenza della Luce incorruttibile, indica la vicinanza con il mondo divino. Maria ne è inondata mentre stringe fra le braccia il Bambino, vestito di rosso - simbolo dell’umanità da Lui assunta - e dell’oro, simbolo della sua regalità e natura divina.

La posizione del Bambino racchiude significati di particolare importanza teologica:

- La contorsione del corpo richiama quella del supplizio della Croce;

- la pianta del piedino scoperto esprime la totale mancanza di difesa,

‍ l’estrema debolezza umana che Cristo ha voluto assumere;

- la mano sulla bocca della Madre rappresenta l’agire di Dio che Ella accoglie

‍ in silenzio e totale abbandono.


Ogni icona di fatto è una sintesi teologica, in cui il credente può contemplare e adorare il mistero di Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito.”

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Madre della tenerezza 2

Madre della tenerezza 3

Madre della tenerezza 4

Madre della tenerezza 5

Madre della tenerezza 6

Varie

La pesca miracolosa

L’icona si ispira all’episodio evangelico della pesca miracolosa (Lc 5, 4-10; Gv 21, 1-14),

offrendo una rappresentazione semplificata ed essenziale.

Appaiono soltanto tre personaggi:

- Gesù, in piedi per quasi tutta l’altezza della tavola;

- due discepoli pescatori, Pietro e Giovanni, rappresentativi di tutto il

‍ gruppo apostolico o meglio di tutta la Chiesa, in quanto comprendono e riassumono tutta la gamma delle vocazioni e delle risposte personali alla chiamata di Cristo. Pietro rappresenta la concretezza: il colore della veste, un verde terra che trascolora nel blu del mare, dice l’immersione dell’uomo nell’azione che sta compiendo, e tuttavia è pronto a volgere e sollevare la testa verso un “Altro”... . Giovanni esprime l’intuizione: precede Pietro, “perché corre più forte di lui” (Gv 20, 4); “rimane” (Gv 21, 22) fermo a contemplare il Signore. E’ vestito di rosso, perché è “il discepolo amato”, colui che ha conosciuto l’amore che Dio ha per noi e lo ha raccontato (1 Gv 4, 16).

Entrambi reggono la rete piena di pesci. Essenzialità della condivisione, della comunione, perché Dio possa manifestarsi come dono e pienezza di vita.

E’ nota la simbologia del mare. E’ noto anche il significato delle parole di Gesù ai discepoli “vi farò pescatori di uomini” con le quali allude all’opera della salvezza dell’umanità intera., ossia del raccogliere e portare alla luce tutte le potenzialità positive disperse e minacciate da una realtà che ci appare inesplorabile e incontrollabile.

Tutto viene “salvato”, raccolto nella rete per quanto piccola, gettata soltanto sulla parola di Gesù Signore. Nell’icona il mare si trova completamente svuotato di vita, come la morte e gli inferi sono stati svuotati dal Cristo risorto per sempre.

Gesù è rappresentato secondo il classico modello iconografico: rivestito della tunica rossa e avvolto nel manto blu, esprime l’unione ipostatica delle due nature, umana e divina.

Il suo braccio destro è teso a benedire, proteggere, chiamare, consacrare e investire i discepoli della sua stessa missione nel mondo, che il paesaggio lontano fa intravedere allo spettatore.

Alle spalle di Gesù, in alto, appare il piccolo albero, legno di croce e fecondo di vita, segno piantato in alto cui “tutti volgeranno lo sguardo” (Gv 19, 37).

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Gesù guarisce l’indemoniato

L’icona rappresenta la visita di Maria a s. Elisabetta.

L’incontro tra le due donne, prodigiosamente gravide, è ambientato in un giardino fiorito dietro il muro di una casa, oltre il quale si erge una montagna e un grande albero. Sono tutti simboli altamente biblici, che richiamano situazioni e significati particolari.

Il monte rappresenta, da una parte, la creazione coinvolta nella storia dell’umanità, e dall’altra il luogo simbolico dell’esperienza religiosa.

L’albero , sempre presente nelle nostre icone come simbolo universale di vita (albero della Vita, albero dell’Eden, albero della Croce…), esprime la fecondità delle due donne, soprattutto della Madre del Signore della Vita.

Il volto rugoso della vecchia Elisabetta tende verso quello giovane e solenne di Maria.

Sul manto rosso porpora (simbolo della vita e di regalità) della Vergine, sopra il grembo leggermente rigonfio, appare l’anagramma greco del Nome di Gesù..

Elisabetta invece è in atteggiamento di profonda riverenza: riconosce il Mistero divino di cui è portatrice Maria, e, come gli angeli delle icone , nasconde le mani in segno di adorazione., sotto un drappo dal colore rosso come il sangue della nuova vita che sta fiorendo anche nel suo corpo.

Sullo sgabello in basso a sinistra si vede un libro aperto con le seguenti parole:“Ecco, la voce del mio Diletto”.

E’ esplicito il riferimento al libro della Bibbia, il Cantico dei Cantici, che percorre l’intero episodio della Visitazione:

Il bimbo che dalla grata di una finestra punta il dito sulla scena, allude alla reazione straordinaria di Giovanni Battista che, riconoscendo il Messia portato da Maria, ha un sussulto di gioia nel grembo di Elisabetta.

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