La composizione bronzea realizza in modo del tutto originale l’antico tema cristiano dell’Annunciazione. La vergine Maria nulla ha di quell’incerto stupore che si ritrova per lo più nelle arti figurative, bensì esprime un fiotto di passione vitale e gioiosa che prorompe come di fronte ad un evento in qualche modo già atteso.
Il movimento delle vesti, insieme a quelle dell’Angelo, sembra intessere una sorta di “canone” a commento del “canto fermo”: gli sguardi dei due volti, quello della giovane Maria di Nazareth e quello dell’Angelo.
L’angelo attrae a sé la Vergine che, dal canto suo, si protende verso la chiara luce che promana dal volto dell’Angelo.
La dinamica intessuta dal bronzo esprime al pieno la “via pulchritudinis” come ricerca del mistero, cosciente che la vita è più ricca di qualsiasi pensiero. Pur nel chiaro riferimento al mistero cristiano, l’opera esprime, come in filigrana il desiderio, spesso inconscio, ma non per questo meno urgente di bellezza splendida, amore gratuito, appagamento pieno che da sempre ed universalmente hanno connotato l’ inquieta ricerca di senso del cuore umano.
E nell’insieme emerge anche un tentativo di risposta: la pienezza della vita, l’appagamento della passione più inquietante e vitale, si ha nell’incontro col Divino: un divino gioioso, amante che attrae a sé. E tuttavia il mistero non si compirà se non nella bellezza di quando il divino assumerà per ciascuno un volto umano…
Lucio Pinkus